Remissione di querela: l’assenza all’udienza non basta sempre

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11743 depositata il 25 marzo 2025, ha escluso che l’assenza della persona offesa all’udienza, quando le sue dichiarazioni sono state acquisite in fase di indagini preliminari con il consenso delle parti, possa determinare la remissione tacita della querela.

La decisione riguarda il caso di un uomo condannato per revenge porn ai sensi dell’art. 612-ter c.p., il quale aveva invocato l’applicazione dell’art. 152, terzo comma, n. 1, c.p., introdotto dalla riforma Cartabia. Tale norma prevede la remissione tacita della querela quando il querelante, senza giustificato motivo, non compare all’udienza in cui è citato come testimone. Tuttavia, la Suprema Corte ha chiarito che questa disposizione non si applica quando il tribunale, con il consenso delle parti, ha già acquisito le dichiarazioni rese dalla persona offesa in fase investigativa.

La Cassazione ha sottolineato che una diversa interpretazione amplierebbe indebitamente il concetto di remissione tacita, senza un fondamento normativo e senza rispettare la volontà del legislatore. Inoltre, ha ribadito che, ai fini della configurazione del reato di revenge porn, la riconoscibilità della vittima dalle immagini diffuse non è un requisito essenziale: la norma tutela la riservatezza delle immagini e il consenso alla loro diffusione, indipendentemente dalla possibilità di identificare la persona rappresentata.

Con questa pronuncia, la Suprema Corte conferma un principio fondamentale: la remissione tacita della querela deve derivare da un’assenza consapevole e rilevante del querelante in qualità di testimone, e non può essere automatica nei casi in cui le sue dichiarazioni siano già state acquisite e rese irrilevanti nel dibattimento.


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Mediazione e interruzione della prescrizione: decisiva la comunicazione al chiamato

La presentazione di una domanda di mediazione presso un Organismo non è sufficiente per interrompere i termini di prescrizione e decadenza. A sancirlo in modo inequivocabile è la Riforma Cartabia, che all’articolo 8, comma 2, del D.Lgs. 28/2010 stabilisce che solo la comunicazione alla parte chiamata determina gli effetti interruttivi e impeditivi connessi alla mediazione.

La disciplina prevede che la comunicazione della domanda di mediazione debba avvenire “con ogni mezzo idoneo” e che sia un onere dell’Organismo di mediazione stesso, come stabilito dal nuovo articolo 8, comma 1. In passato, invece, era prevista anche la possibilità che fosse la parte istante a occuparsi della comunicazione, con il rischio di discrezionalità e incertezze.

L’avvocato deve preoccuparsi della notifica?

Sebbene la responsabilità della comunicazione gravi sulla segreteria dell’Organismo, in caso di prescrizione o decadenza imminenti è opportuno che l’avvocato non si limiti al semplice deposito, ma provveda personalmente a comunicare la domanda di mediazione alla controparte, così da scongiurare ogni rischio processuale.

Il caso del Tribunale di Pavia

Un recente orientamento giurisprudenziale del Tribunale di Pavia (sentenza n. 178/2025) si è posto in controtendenza, riconoscendo che il solo deposito della domanda presso l’Organismo di mediazione possa interrompere la prescrizione e impedire la decadenza. La decisione, che si rifà a un indirizzo minoritario già sostenuto da alcune sentenze di merito, si basa anche sull’articolo 8 della Direttiva Europea 2008/52, che tutela le parti da decadenze processuali derivanti dal tempo impiegato nella mediazione.

Tuttavia, l’interpretazione più rigorosa e prudente resta quella maggioritaria: solo la comunicazione al chiamato da parte dell’Organismo, o, in caso di urgenza, direttamente dall’avvocato istante, garantisce con certezza gli effetti processuali e sostanziali della domanda di mediazione.


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Turchia, attacco all’avvocatura: Ordine di Istanbul sciolto per motivi politici

L’avvocatura italiana si schiera compatta contro la decisione del Tribunale civile di Istanbul di destituire il presidente dell’Ordine degli Avvocati, Ibrahim Kaboglu, e di sciogliere l’intero Consiglio Direttivo. Un provvedimento senza precedenti, autorizzato dal Ministero della Giustizia turco con una norma mai applicata prima, che mina l’indipendenza della professione legale e rappresenta un grave attacco allo Stato di diritto.

L’Unione Nazionale Camere Civili (UNCC) e l’Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA) hanno espresso ferma condanna per una decisione che sembra dettata da ragioni politiche più che giuridiche. Il caso nasce da una legittima richiesta di indagine sull’uccisione di giornalisti in Siria, dimostrando come la difesa dei diritti umani sia sempre più criminalizzata.

L’UNCC ha ribadito con forza che la libertà di espressione e il diritto di difesa sono principi fondamentali e ha espresso piena solidarietà a Ibrahim Kaboglu e a Firat Epözdemir, membro del Consiglio dell’Ordine, detenuto arbitrariamente dalla fine di febbraio.

AIGA ha chiesto un intervento immediato delle istituzioni internazionali per monitorare la situazione, sottolineando che il provvedimento crea un pericoloso precedente. “L’Ordine degli Avvocati di Istanbul, con i suoi 65mila iscritti, è uno dei più grandi al mondo. Mettere a tacere i vertici forensi significa minare le fondamenta stesse di uno stato democratico”, ha dichiarato il presidente AIGA, Carlo Foglieni.


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Giustizia, Parodi (ANM): “Disciplinare magistrati serio e rigoroso”

ROMA, 26 marzo – “Non esiste una giustizia disciplinare addomesticata, se non nelle intenzioni di chi vuole sfruttare anche questo argomento per gettare discredito sulla magistratura, specie se si cerca di confondere la valutazione sull’ingiusta detenzione con quella disciplinare, che hanno presupposti completamente differenti che solo occasionalmente possono coincidere. Un’attenta osservazione della giustizia disciplinare del CSM dimostra che esiste un sistema serio, severo e rigoroso a garanzia dei cittadini. Lo dicono i numeri: basti pensare che nel 2024 il Consiglio superiore della magistratura ha comminato sanzioni disciplinari pari a oltre tre volte quelle comminate in Francia. Questo peraltro dimostra che c’è un meccanismo funzionante e che, pertanto, l’istituzione di un’Alta corte disciplinare non trova alcuna ragione d’essere”. Lo afferma Cesare Parodi, presidente dell’Associazione nazionale magistrati.


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Onorari avvocati: il giudice deve motivare la liquidazione

Quando un avvocato presenta una nota specifica, il giudice d’appello ha l’obbligo di rideterminare l’ammontare del compenso, specificando il sistema di liquidazione adottato e la tariffa professionale applicabile alla controversia. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7245/2025, sottolineando che questa operazione è necessaria per garantire la conformità della liquidazione ai criteri legali e il rispetto dell’inderogabilità dei minimi tariffari.

Nel caso esaminato, la Corte d’Appello aveva ridotto il compenso spettante al legale senza fornire un’adeguata motivazione sul criterio adottato. La Suprema Corte ha ribadito che, in simili circostanze, il giudice deve giustificare dettagliatamente il calcolo effettuato, evitando valutazioni arbitrarie.

L’ordinanza rappresenta un ulteriore chiarimento sull’importanza della trasparenza nella liquidazione degli onorari, tutelando il diritto degli avvocati a una retribuzione conforme ai parametri normativi.


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Locazione parziale e IMU: la casa principale resta esente

Affittare una parte della propria abitazione principale non fa perdere il diritto all’esenzione IMU. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio con la sentenza n. 1524 del 7 marzo 2025, accogliendo il ricorso di una contribuente che si era vista contestare il beneficio fiscale dal Comune di Roma.

Il caso riguardava un accertamento IMU per l’anno 2016, in cui il Comune aveva ritenuto che l’immobile non potesse essere considerato abitazione principale in quanto al suo interno era presente un’attività commerciale di estetista. L’ente locale aveva quindi richiesto il pagamento dell’imposta, sostenendo che l’uso dell’immobile fosse incompatibile con l’agevolazione prima casa.

In appello, però, la contribuente ha dimostrato, tramite il certificato storico di residenza e la dichiarazione IMU, che nell’anno contestato risiedeva stabilmente nell’immobile e che solo una stanza di 9 mq era destinata a un piccolo centro estetico. A sostegno della sua posizione, la difesa ha citato le FAQ del MEF del 2014, che chiariscono come la locazione di alcune stanze a studenti non faccia perdere l’esenzione IMU. Inoltre, secondo la Cassazione e l’Agenzia delle Entrate, il beneficio fiscale resta valido se il proprietario mantiene anche solo parzialmente il possesso dell’immobile.

Sulla base di questi principi, la Corte tributaria ha ribaltato la decisione di primo grado e annullato l’accertamento, riconoscendo che la contribuente aveva diritto all’esenzione IMU nonostante la locazione parziale dell’immobile.


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Condominio e debiti: il singolo proprietario può opporsi all’esecuzione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7489 depositata il 21 marzo 2025, ha stabilito che il singolo condomino può opporsi all’esecuzione di un debito condominiale se dimostra la propria estraneità alla sua origine. Il principio si applica, ad esempio, nei casi in cui l’acquirente dell’immobile sia subentrato dopo la delibera che ha generato l’obbligazione.

Il caso esaminato riguarda un condomino che aveva ricevuto un precetto di circa 10mila euro da parte dell’impresa che aveva eseguito il rifacimento della facciata dell’edificio. L’interessato ha contestato il pagamento, poiché l’acquisto della sua abitazione era avvenuto nel 2010, cinque anni dopo la delibera condominiale che aveva disposto i lavori.

Dopo una prima vittoria in tribunale, la Corte d’Appello aveva invece ribaltato la decisione, affermando che la sentenza di condanna del Tribunale di Genova del 2016, relativa all’intero condominio, avesse valore esecutivo anche nei confronti del ricorrente. La Cassazione, tuttavia, ha annullato tale interpretazione, ribadendo che la pronuncia contro il condominio non determina automaticamente l’obbligo di pagamento per tutti i singoli proprietari.

La Suprema Corte ha sottolineato che il singolo condomino, in sede di esecuzione, può far valere la propria posizione, dimostrando di non essere tenuto al pagamento del debito per ragioni personali, come l’acquisto dell’immobile in un momento successivo alla delibera che ha generato l’obbligo.

Ora la parola passa nuovamente alla Corte d’Appello di Genova, che dovrà riesaminare il caso alla luce del principio affermato dalla Cassazione.


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L’Intelligenza artificiale nei luoghi di lavoro: lo Statuto dei lavoratori va aggiornato

L’Intelligenza Artificiale (IA) sta trasformando il mondo del lavoro, ma la normativa italiana sui controlli a distanza e sui diritti dei lavoratori deve essere aggiornata per rispondere a queste nuove sfide. Il Senato, con l’approvazione in prima lettura del Regolamento UE 2024/1689 (AI Act) il 20 marzo 2025, ha posto le basi per una regolamentazione dell’uso dell’IA nei luoghi di lavoro, con particolare attenzione ai sistemi automatizzati che influenzano le decisioni aziendali e il monitoraggio del personale.

Obblighi informativi e tutela dei lavoratori

Secondo l’AI Act, i datori di lavoro che intendono utilizzare sistemi di IA considerati “ad alto rischio” – ossia quelli impiegati per selezionare, valutare o monitorare i dipendenti – devono informare preventivamente sia i lavoratori interessati che i loro rappresentanti sindacali. L’articolo 11 del Regolamento richiama esplicitamente il rispetto dei diritti fondamentali, la trasparenza e la tutela delle condizioni di lavoro, imponendo un obbligo formativo prima dell’introduzione di questi strumenti.

L’uso di tali sistemi può avere un impatto significativo sulla gestione dei rapporti di lavoro, incidendo, ad esempio, sulle decisioni relative alle promozioni, ai licenziamenti o alla valutazione delle performance individuali. Per questo motivo, il Regolamento sottolinea che le normative nazionali più favorevoli ai lavoratori rimangono in vigore e devono essere integrate con le nuove disposizioni europee.

Controlli a distanza e Statuto dei Lavoratori: necessaria una revisione

Uno dei punti più critici riguarda l’interazione tra il Regolamento UE e l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970), che disciplina i controlli a distanza. Sarà necessario chiarire se i sistemi di IA utilizzati per monitorare i dipendenti rientrano nelle disposizioni già previste dalla normativa italiana o se richiedano nuove regolamentazioni. In particolare, bisognerà stabilire se per l’uso di questi strumenti serva l’accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.

Un altro tema delicato riguarda il diritto di difesa nei procedimenti disciplinari: potrebbe un robot raccogliere e analizzare i dati per valutare il comportamento di un dipendente? Questa prospettiva apre interrogativi etici e giuridici che dovranno essere affrontati dal legislatore.

Un osservatorio per monitorare l’impatto dell’IA nel lavoro

Per gestire queste trasformazioni, l’articolo 12 del Regolamento prevede l’istituzione di un osservatorio sull’adozione dell’IA nel mondo del lavoro. Questo organismo avrà il compito di sviluppare strategie per l’integrazione dell’IA nei processi aziendali, valutare il suo impatto sul mercato del lavoro e identificare i settori maggiormente coinvolti dall’automazione.

Il rinvio dell’AI Act alla legislazione nazionale impone, quindi, un aggiornamento delle norme italiane. L’integrazione tra regolamenti europei e statuti nazionali sarà cruciale per garantire un equilibrio tra innovazione tecnologica e tutela dei diritti dei lavoratori.


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Licenziamento via PEC all’avvocato: la Cassazione conferma la validità della notifica

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 7480 del 20 marzo 2025, ha stabilito che il licenziamento comunicato alla PEC dell’avvocato difensore è valido se il lavoratore ha eletto domicilio presso lo studio legale nel corso del procedimento amministrativo.

Nel caso esaminato, un dipendente pubblico dell’Università aveva richiesto che tutte le comunicazioni e notifiche relative al procedimento disciplinare gli fossero inviate all’indirizzo PEC del proprio avvocato. La notifica del licenziamento è stata trasmessa via PEC al difensore, seguita da una raccomandata allo studio legale e infine da una raccomandata all’indirizzo del lavoratore. Secondo la Suprema Corte, questa modalità di comunicazione è idonea e rende definitiva la decisione di recesso.

La PEC dell’avvocato come domicilio privilegiato

Ogni avvocato possiede un domicilio digitale, conoscibile dai terzi attraverso l’INI-PEC, l’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata. Se il lavoratore indica la PEC del proprio difensore senza ulteriori specificazioni, il notificante è obbligato a utilizzare la modalità telematica.

La Cassazione ha inoltre chiarito che la scelta del lavoratore di eleggere domicilio presso lo studio dell’avvocato implica il riconoscimento di quel luogo come idoneo per la ricezione di atti ufficiali. L’indirizzo PEC del difensore, infatti, è registrato presso il Consiglio dell’Ordine di appartenenza e comunicato al Ministero della Giustizia per l’inserimento nel REGINDE, il registro generale degli indirizzi elettronici.

Le conseguenze della decisione

La sentenza ribadisce il principio secondo cui, in ambito disciplinare, la PEC dell’avvocato è un domicilio digitale valido per le notifiche. Il dipendente, essendo stato messo a conoscenza del provvedimento attraverso più canali, non può eccepire la nullità della comunicazione via PEC per sostenere la tempestività dell’impugnazione.

Infine, la Corte ha sottolineato che la normativa applicabile è quella vigente al momento dei fatti contestati, anche se risalenti al periodo 2009-2011. Le modifiche legislative successive, infatti, non incidono sulla validità della notifica effettuata tramite PEC all’avvocato difensore.


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Anomalie Servizi PCT – Consultazione

Si comunica che a causa di anomalie da parte del Sistema Ministeriale (non di Servicematica), si stanno verificando delle interruzioni temporanee nei sistemi di consultazione dei fascicoli telematici.

Consigliamo di ripetere l’operazione in un secondo momento, se non dovesse andare a buon fine.

Non ci sono comunicazioni da parte del Ministero sulle tempistiche di risoluzione del problema.

Ricordiamo che sarà possibile depositare telematicamente con Service1 seguendo l’apposita guida al seguente link LINK GUIDE


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